GENITORI E FIGLI: ISTRUZIONI PER L’USO – Della Dott.ssa Manuela Caleca

Alcuni dicono che essere genitori è “sempre” fantastico, ma questa è una bugia!
Avere figli può essere incredibilmente gratificante, ma anche un lavoro faticoso e snervante, a
seconda delle situazioni. I figli creano confusione, parlano una lingua che spesso facciamo fatica a
comprendere, sono elusivi, non ascoltano e sanno come darvi ai nervi, ma nonostante questo, anche
noi genitori sappiamo essere altrettanto irritanti. Proviamo a crescere i nostri figli in modo che
abbiano una vita migliore di quella che abbiamo avuto noi, ma spesso superiamo il limite con le
nostre aspettative ipocritamente elevate.
I nostri figli vedono e capiscono più di quello che pensate. Il modo in cui vi comportate tra voi
genitori probabilmente influenzerà il tipo di persone che saranno da grandi. Se litigate davanti a
loro, se vi criticate o sminuite a vicenda, state certi che anche loro lo faranno un giorno. I nostri figli
imparano da noi come trattare gli altri.

Il tempo

La vita, diceva Seneca, per quanto corta possa essere, non è breve: siamo noi che la rendiamo tale,
sprecando quel dono prezioso che è il tempo. Oggi al pari di ieri la piaga che affligge la nostra
società è la mancanza di Tempo, quello vero. Perennemente di corsa, sempre ansiosi, abbiamo
inaugurato una staffetta senza fine tra i vari impegni che ci riempiono la giornata. Chi si ferma è
perduto! Questo ci dice la società e questo ci allontana dal nostro “sentire”, dalla saggezza del
nostro corpo che ci regala quella capacità di autoguarigione che ognuno di noi possiede. Ci
allontana dalle nostre emozioni che ci dicono chi siamo, ciò di cui abbiamo bisogno.
Il primo problema riguarda la gestione del tempo per i figli e l’ormai diffusissima prassi di
“occupare” il più possibile il tempo dei ragazzi. Tra palestra, allenamenti di calcio o pallavolo,
danza, attività espressive o corsi di musica, l’agenda di molti bambini e ragazzi è diventata più fitta
di quella di un amministratore delegato.

I genitori se ne sentono rassicurati, perché il proprio figlio non butta via il tempo, né va a spasso
incontrollato per il quartiere o per la città. Ma qual è il tempo libero di un ragazzo con l’agenda così
piena? Come riuscirà a imparare a star bene con se stesso se sarà sempre accerchiato da qualcuno
che gli chiederà di fare qualcosa per raggiungere un certo obiettivo? Come potrà imparare a gestire
il proprio tempo, ad assumersi personalmente la responsabilità di scegliere cosa è giusto fare ma
anche di mettere a fuoco ciò che gli piace o non gli piace? Come potrà “annoiarsi” così da
sperimentare quel cosiddetto “vuoto fertile ” nel quale tutti noi sperimentiamo e creiamo, rendendo
viva una parte di noi. Forse occorre qualche soluzione intermedia, in grado di costruire percorsi in
cui progressivamente cresca l’autonomia e la libertà di scelta e diminuisca il controllo e la gestione
da parte dei genitori. Si rischia di considerare come proprio spazio di tempo libero solo quei
momenti in cui “nessuno ti dice cosa devi fare”, oppure in cui ti metti davanti al videogioco per un
paio d’ore, oppure, ancora, in cui “butti via il tuo tempo”.

Emozioni

Ma senza un tempo di qualità non si può raggiungere un fondamentale obiettivo: l’accoglienza e
l’ascolto incondizionato del vissuto del bambino. Bisogna aver fiducia nella sua capacità di tollerare
le proprie sensazioni ed emozioni. Essi ascoltano in modo spontaneo il proprio corpo, il cuore e la
propria pancia riguardo a quanto accade loro e a quanto provano. Esprimono con semplicità le loro
emozioni attraverso disegni, parole, gesti, le storie che ci raccontano, ma hanno bisogno di essere
aiutati a fidarsi di ciò che sentono e a renderlo esplicito. Esiste una tecnica, il focusing, che
consente agli adulti di ritrovare il contatto con la “saggezza del proprio corpo”, ed ai bambini a non
perderla. In ognuno di noi, in fondo, sonnecchia un bambino che non è stato sufficientemente
ascoltato e che attende di essere riconosciuto. Se si vuole instaurare con il bambino un rapporto
amorevole e aperto, occorre innanzitutto imparare ad essere amorevoli ed aperti nei confronti di se
stessi.
“A volte avvertiamo sensazioni che ci dicono che c’è qualcosa che non va, ma non sappiamo cosa,
ma se focalizziamo la nostra attenzione sulla sensazione succede spesso che questa diventi distinta e
a volte scopriamo che possiede un significato, forse inatteso. Non possiamo controllare queste
sensazioni interne, anche se non vogliamo ascoltarle loro continuano a mandarci dei segnali che
continueranno ad essere presenti fino a quando non daremo loro la giusta attenzione. Fino a quel
momento però potremmo scegliere se accoglierle amichevolmente o meno. Se permettiamo alle
emozioni di esprimersi possiamo scoprire cosa c’è dietro.”
Desiderare che vostro figlio studi e faccia faville a scuola è normale, ma bisogna tenere presente
che la vita non è un film! Nella vita vera, i bambini imparano in maniera diversa. È nostro compito
guidarli, non punirli perché hanno difficoltà di apprendimento. D’altra parte noi non siamo perfetti
al lavoro – nella maggior parte degli impieghi, non è previsto. La scuola è il “lavoro” dei nostri figli,
fino a che non entreranno nel mondo dei grandi.
Quando i bambini imparano ad ascoltare ciò che avviene dentro di loro, divenendo profondamente
consapevoli delle loro sensazioni fisiche, anche il loro comportamento cambia.

La scuola

“Al rendimento scolastico dei nostri figli, siamo soliti dare un’importanza che, a volte, è del tutto
infondata. Non ci basta che non restino troppo indietro agli altri, che non si facciano bocciare agli
esami. Noi non ci accontentiamo di questo; vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che soddisfino
il nostro orgoglio.
Se non vanno così bene come noi pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la bandiera del
malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e piagnucoloso di chi lamenta
un’offesa. Allora i nostri figli, tediati, s’allontanano da noi. Oppure li assecondiamo nelle loro
proteste contro i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con loro, a vittime d’una
ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i compiti, anzi ci sediamo accanto a loro, studiamo con
loro le lezioni.
In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo, la prima battaglia da affrontare
da solo, senza di noi; fin dal principio dovrebbe esser chiaro che quello è un suo campo di battaglia,
dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e illusorio. Se là, subisce
ingiustizie o viene incompreso, è necessario lasciargli intendere che non c’è nulla di strano, perché
nella vita dobbiamo aspettarci d’essere incompresi e misconosciuti: la sola cosa che importa è non
commettere ingiustizia a noi stessi.
I successi o insuccessi dei nostri figli, noi li dividiamo con loro perché gli vogliamo bene, ma allo
stesso modo e in egual misura come essi, dividono, a mano a mano che diventano grandi, i nostri
successi o insuccessi, le nostre soddisfazioni o preoccupazioni. È falso che essi abbiano il dovere, di
fronte a noi, d’esser bravi a scuola e di dare allo studio il meglio del loro ingegno. Il loro dovere di
fronte a noi è puramente quello di andare avanti, visto che li abbiamo avviati agli studi. Se il meglio
del loro ingegno vogliono spenderlo non nella scuola, ma in altra cosa che li appassioni, raccolta di
coleotteri o studio della lingua turca, sono fatti loro e non abbiamo nessun diritto di rimproverarli,
di mostrarci offesi nell’orgoglio, frustrati di una soddisfazione. Se il meglio del loro ingegno non
hanno l’aria di volerlo spendere per ora in nulla, e passano le giornate al tavolino masticando una
penna, neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse quello che a noi sembra
ozio è in realtà fantasticheria e riflessione, che, domani, daranno frutti.
Ma non dobbiamo lasciarci prendere, dal panico dell’insuccesso. I nostri rimproveri debbono essere
come raffiche di vento o di temporale: violenti, ma subito dimenticati; nulla che possa oscurare la
natura dei nostri rapporti coi nostri figli, intorbidarne la limpidità e la pace. Noi dobbiamo consolare
i nostri figli, se un insuccesso li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un insuccesso li ha
mortificati. Siamo anche là per fargli abbassare la cresta, se un successo li ha insuperbiti. Siamo per
ridurre la scuola nei suoi umili ed angusti confini; nulla che possa ipotecare il futuro; una semplice
offerta di strumenti, fra i quali forse è possibile sceglierne uno di cui giovarsi domani.
Quello che deve starci a cuore, nell’educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno
l’amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato d’attesa, intento
a preparare se stesso alla propria vocazione. E che cos’è la vocazione di un essere umano, se non
la più alta espressione del suo amore per la vita?”
(Natalia Ginzburg, “Le piccole virtù”, pubblicato originariamente su “Nuovi Argomenti”)